Il Santo dei falò

Se giungerai a Monopoli nel mese di Marzo non potrai perderti il tradizionale giro per i falò accesi in onore di S. Giuseppe. Infatti fra tutti i santi che, nella ricorrenza della propria festa, continuano a ricevere un tributo devozionale anche con il rituale del fuoco, la figura di san Giuseppe, protettore dei poveri e degli artigiani, in particolare dei falegnami, è una delle privilegiate. Nel corso dei secoli Monopoli ha mantenuto un significativo culto popolare per il santo, anche grazie al dinamismo della sua confraternita. I festeggiamenti in suo onore risalgono agli anni di fondazione della stessa congrega di San Giuseppe, probabilmente attorno al 1613.

Tra pani benedetti e processione

Dopo il cerimoniale della messa serale del 19 marzo, un’atmosfera di raccoglimento la coglierai nelle celebrazioni esterne, soprattutto nel corso della suggestiva processione in cui la statua del santo attraversa il centro storico. Insieme a tutte le confraternite e allo spontaneo accompagnamento di semplici fedeli, vi è la partecipazione delle consorelle di S. Giuseppe, contraddistinte da un medaglione, portato al collo, che raffigura il santo. Nel giorno del 19 marzo, anticipato da un triduo di preghiere e messe, unitamente all’accensione dei falò – detti con un vernacolo in disuso “fème” (fuoco) – uno dei momenti più partecipati in chiesa è quello dell’offerta e della distribuzione mattutina dei rituali pani – precedentemente benedetti – simbolo della carità e della disponibilità di san Giuseppe. I pani sono anche segno di ringraziamento al santo e, allo stesso tempo, assurgono a significato di condivisione e di unità intorno alla sua misericordiosa figura. Come un tempo continuano ad essere considerati miracolosi contro malattie: tuttora è buona consuetudine farne dono a persone inferme, con la raccomandazione di invocare il santo per rendere davvero efficace il nutrimento.

I significati del fuoco

Dal pomeriggio le briose note di una piccola banda si dipana per le vie della città e i fuochi pirotecnici marcano la rilevanza della festività, celebrata intorno alla chiesa di S. Leonardo, per l’occasione incorniciata da luminarie esterne, mentre all’interno è decorata da piccoli drappi gialli in segno di festa. La chiesa e il pane da una parte, la città e il fuoco dall’altra, sono stati negli anni aspetti caratterizzanti di tale devozione. Ma il maggior richiamo per l’intera città è rappresentato dai tradizionali falò, espressione di antica pietà popolare, la cui accensione avviene dopo il ritorno della statua a “casa”, a fine processione. Tra vicoli e chiassi del “paese vecchio”, contesto in cui la ricorrenza è sempre stata maggiormente sentita, si incontrano numerosi piccoli fuochi, che nascono soprattutto dalla voglia, da parte di alcune famiglie, di mantenere – è il caso di dire – ancora acceso questo folclore. Altri falò, di più considerevoli dimensioni, invece, vengono preparati nei giorni precedenti nei quartieri delle zone periferiche della città o in qualche parte dell’agro. Il rituale del fuoco  un tempo aveva una duplice valenza allegorica: purificatrice e rigeneratrice. Da una parte doveva allontanare tutto ciò che tormentava la comunità come malattie, fame, freddo, avversità dell’inverno trascorso, dall’altra doveva rigenerare gli uomini e l’ambiente circostante preparandoli alla nuova stagione. Non a caso la festa di S. Giuseppe è considerata “una cerimonia del principio della primavera”. Quindi, i  fuochi dovevano essere pieni di quella azione apotropaica in grado di “consumare”, ovvero distruggere, incenerendoli, tutti gli elementi dannosi.

Il gusto di una “zeppola”

Avrà il sapore della conquista il rintracciare i falò, soprattutto dopo aver goduto di un piacevole senso di smarrimento tra i vecchi e bianchi muri del centro storico, illuminati dalle fiamme, intorno alle quali è facile sentirsi parte di una comunità. La gioia che ancora si coglie tra la gente in visita ai falò riconduce a quella catarsi emozionale che scaturiva dal congedarsi dalle oscurità dell’inverno e dalle sue angosce: la sera diventa magica e ti sentirai pronto nel farti catturare dall’aria insinuante della primavera. Sarà bello cantare, condividere il cibo (fave, lupini e ceci cotti nella cenere, vino e taralli), in compagnia della gente del posto e di quella peregrinante da un falò all’altro. Ma tra le cose imperdibili, legate alla tradizione culinaria della festa, ci sono le “zeppole di S. Giuseppe”, un dolce con la sua forma tondeggiante che prevede due versioni: quella classica fritta e quella più leggera che considera le “zeppole” di San Giuseppe cotte in forno.  Entrambe comunque deliziose per il gusto che donano crema bianca e marmellata di ciliegie o di amarene posate sulla “zeppola”.